Si fa presto a chiamarlo “Vulcano”

Sull’Etna c’ero stato già un paio di volte, ma da turista, e con poco interesse per il vino.

Da quando il vino è entrato a far parte dei miei interessi, mi son detto che l’Etna non è un vulcano, ma un continente. Dopo questo mio ultimo tour, cambio ancora la mia percezione: l’Etna non è un continente ma un vero parco giochi.

E’ una montagna, ed è li che ti guarda. Non può fotografare foglia di vite senza ritrovarti l’Etna nella fotografia.
E’ una montagna, ma è viva. E’ una entità scomoda, e te ne accorgi dalle colate di nero che si vedono chiaramente su alcuni versanti, sia dal pennacchio di fumo che ti dice “occhio, io sono qui”.

Te ne accorgi dalle pietre, dai muretti e dalle colonne. Tutte rigorosamente nere. Così come nere sono le grandi pietre che ritrovi in vigna.
Insomma, una presenza scomoda, ma che ricambia tanta invadenza dando a queste terre degli attributi irripetibili.

In quota trovi le betulle. Verso mare fiori e frutti, talvolta anche tropicali. Una vegetazione dirompente che ti lascia capire, ancora una volta, la potenza di questo vulcano.

Terreni ricchi, baciati dal sole ma anche dalle escursioni termiche. Ricchi di minerali e di quella ventilazione marina che conferisce quella piacevole sapidità al vino che poi berremo.

Etna è anche attaccamento al territorio e alle tradizioni. Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante. Tre vitigni rispettati e che si fanno rispettare. Allevamenti ad alberello, per quanto meno produttivi, spesso  sono conservati per rispettare le vecchie vigne. Scenari che si aprono dietro un cancello, un banale e grigio cancello a custodia di un patrimonio spettacolare fatto di tanta vite, tanto lavoro, e di panorami mozzafiato.

Ci siamo stati tre giorni, ma la sensazione è di aver visto troppo poco. Una terra che pretende di essere vista in profondità, di essere vissuta imboccando tante piccole stradine che ti portano per campi. Una ospitalità, tutta siciliana, di quelle che già dal giorno dopo ti fanno sentire la mancanza.

I vini. Vista la mia predilezione per il Nerello Mascalese, forse sono troppo di parte e dovrei andare oltre, ma non posso astenermi.
Un colore vivo, un frutto importante sia al naso che alla bocca, un piacere da bere come pochi. Una “alternativa rossa” che – a mio avviso – è ancora troppo riservata ai conoscitori e che meriterebbe maggiore attenzione e diffusione.

Poi il Carricante. Da queste parti il mare “se lo prende tutto” ed è la salinità la componente più affascinante. Bianchi di carattere, anche longevi. E sono contento di aver fatto questo incontro, tutto sommato per me abbastanza nuovo..

Caro Etna, per quanto tu ci abbia accolto con 40° all’ombra e un pennacchio fumante, ci hai conquistato.
Ci ha conquistato la tua terra e le persone che lì lavorano e con orgoglio cercano di continuare il lavoro dei nonni e dei padri.
Andiamo via, ma dovremo tornare. Abbiamo ancora tanto da scoprire.

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Maurizio Gabriele

Maurizio Gabriele

Fondamentalmente un curioso. Programmatore e sistemista pentito, decide di virare in modo netto verso il mondo della comunicazione, caratterizzato da progetti decisamente più stimolanti. Attratto dalla cucina sia come forma di espressione che di nutrimento e, inevitabilmente, dal vino. Sommelier dal 2018. In giurie internazionali dal 2020. Writer per passione. Entusiasta per scelta di vita.

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