Scommetto che anche tu utilizzi l’espressione fare fiasco per indicare un completo qualcosa che non è andata secondo le aspettative. Ma ti sei mai chiesto perché si dice fare fiasco e da dove derivi questo detto ormai nazional – popolare? Proviamo a scoprirlo insieme…
Panciuto e con il collo lungo, il fiasco era il classico contenitore da vino, usato al momento dell’imbottigliamento il vinello leggero, di consumo immediato da conservare nel «fiasch» appunto.
Se proprio vogliamo essere bravi, prendiamo la Treccani, cerchiamo “fiasco”: alla prima voce leggiamo subito “Recipiente di vetro per vino, o altri liquidi, di forma ovale col collo lungo munito di bordo ringrossato, a pareti sottili, di colorazione leggermente verdognola, con caratteristica rivestitura di paglia di erbe palustri (e oggi anche di materie plastiche), fatta principalmente in due forme: fiorentina a strisce verticali, e senese a cordoni orizzontali (nel commercio dei vini è usata esclusivamente la prima)”.
Uhm… scorrendo la Treccani vediamo come il termine “fiasco” sia correttamente utilizzato quale sinonimo di insuccesso. Particolare la lingua italiana vero!? Ma qual è il passaggio che ha portato ad utilizzare il famoso recipiente del vino per rendere ancor meglio l’idea di un fallimento, di un insuccesso?
Sembra che tutto abbia avuto origine da un fatto accaduto parecchio tempo fa in un teatro fiorentino, dove un artista famoso, tale di Domenico Biancolelli, ogni sera si esibiva in simpatici monologhi interpretando “Arlecchino”, usando oggetti a cui si rivolgeva adoperando parole e smorfie divertenti. Una sera però decise di esibirsi in un monologo portandosi come compagno di scena un…indovinate un po’? Fiasco da vino! Invece di divertire il pubblico però, l’artista lo annoiò così tanto che questo reagì con un tripudio di fischi.
Da allora è rimasto questo modo di dire “far fiasco”, che non a caso è usato soprattutto proprio nel gergo teatrale.
Ilaria Nespoli