L’etichetta dei vini di Girolamo Russo è una delle mie preferite. Essenziale, rappresentativa, immediata. Giuseppe mi dice di averla avuta in dono da una sua amica giornalista americana. Una soluzione grafica inaspettata arrivata dopo tante prove grafiche non soddisfacenti. E capisco quando parla di “fortuna”, anche perché, ripeto, per me è una delle etichette più riconoscibili.
Ma di Giuseppe Russo è riconoscibile anche e soprattutto il vino.
Biologico, ma fondamentalmente rispettoso del modo tradizionale di fare il vino e di curare la terra.
Giuseppe è un produttore importante, ma la sua è la continuazione di una storia iniziata dal papà Girolamo, attaccato alla terra e ai metodi tradizionali come non mai. Metodi affinati e adottati da Giuseppe non tanto per mettersi una “pecetta” (così diciamo a Roma per identificare uno stemma, un distintivo) quanto per essere “rispettoso di sostanza” verso al sua terra.
Saltiamo in auto verso il suo “Feudo” e Giuseppe ci racconta delle sue vigne. Territori diversi, vigne diverse, tutte da valorizzare.
Quale è stata la chiave di lettura di Giuseppe per mantenere l’equilibrio tra tradizione e innovazione?
Quale è stato il passaggio da un territorio nel quale il vino veniva prodotto per essere venduto sfuso ad un approccio orientato alla qualità e all’imbottigliamento?
Giuseppe ci racconta il suo percorso, Dal concetto di Cru, o meglio di “Contrada“, fino alla selezione sulla pianta, per arrivare alla produzione contenuta, ma di altissima qualità.
Siamo nel suo “Feudo”. Una struttura in fase di ultimazione. Una dimora che conserva colonne in pietra lavica e graffiti sui muri: il posto perfetto per provare i suoi vini e farci una chiacchierata. Alle pendice dell’Etna e in pace con il mondo.