E se ne paghi 4 berrai Falerno…

Edone fa sapere: qui si beve per 1 asse, se ne paghi 2 berrai un vino migliore, se ne paghi 4 berrai Falerno

Si potrebbe riassumere con questa frase, ritrovata sulla parete di una taberna a Pompei, il prestigio e la fama di cui godeva questo vino in antichità.
Le origini del Falerno si perdono nella leggenda, si dice che il Dio Bacco, durante il suo viaggio in Italia, chiese, sotto le vesti di un umile viaggiatore, ospitalità presso la casa di un contadino di nome Falerno, situata alle pendici del monte Massico. Questi offrì al Dio cibo e latte, ed egli, rivelandosi, tramutò il latte in vino e fece crescere sulle pendici del monte dei floridi vigneti, come ringraziamento per l’ospitalità data.

Il Falerno era un vino accessibile a pochissime persone, in genere riservato ai ricchi e alla classe dirigente.
Il liberto Trimalchione, uomo ricchissimo, protagonista del Satyricon di Petronio, servì alla sua tavola anfore di cristallo con all’interno Falerno centenario.

Cicerone, Tito Livio, Tibullo, Ovidio, sono solo alcuni tra i più famosi autori romani che tessono le lodi di questo vino. Plinio ci comunica che al suo tempo la produzione di Falerno aveva subito un peggioramento dal punto di vista qualitativo a causa di alcuni produttori che miravano più alla quantità che alla qualità, in questo caso mai detto fu più azzeccato di Historia magistra vitae.

La Campania era un territorio fertilissimo tanto da essersi meritato l’appellativo di Felix perché, secondo Plinio, era in grado di donare quattro raccolti l’anno.

Similmente al meccanismo che regola l’attuale legislazione vitivinicola in Italia, i romani avevano individuato tre tipologie di Falerno nominate in base alla zona di provenienza. Nella zona che insiste sugli attuali comuni di Falciano del Massico e Carinola si produceva il Faustianum, nella zona collinare di Casale di Carinola di produceva il Caucinum mentre nella zona di pianura il generico Falernum.

I gusti dei romani erano completamente diversi dai nostri, il vino veniva conservato, all’interno di anfore, in soffitta, dove convogliavano i fumi provenienti dal riscaldamento e dalla cucina, spesso esposto a calore. Veniva consumato diluito con acqua e aromatizzato con spezie, formaggio, miele e resina, in alcuni periodi si arrivò ad aggiungere al vino anche polvere di piombo. Si narra che personaggi autorevoli del tempo avessero in soffitta anfore ricolme di Falerno invecchiato anche oltre i 100 anni, Marziale lo definì vino immortale.

Con la caduta dell’impero cadde lentamente anche il mito del Falerno e i vigneti del Dio vennero lasciati in abbandono. Qualche filare di vite sporadico sopravvisse al passare dei secoli, allevato da qualche agricoltore locale. La riscoperta del Falerno si ebbe a partire dal secondo dopoguerra grazie ad alcuni lungimiranti viticoltori. Oggi il Falerno viene prodotto negli stessi luoghi del passato, in due versioni bianco e rosso.

Per il bianco si usano in prevalenza uve Falanghina, per il rosso sono ammesse uve Piedirosso e Aglianico o Primitivo in purezza.
Non sono molte le aziende che lo producono, rivisitato in versione moderna. Tra i pochi possiamo porre l’attenzione su due cantine che ne producono le differenti versioni.

L’azienda di Gennaro Papa, situata a Falciano del Massico, ha nella sua line up una versione di Falerno composta da uve Primitivo in purezza con piante centenarie, a piede franco, sopravvissute alla piaga della fillossera, le loro radici affondano direttamente nella storia.

Michele Felace, produce la versione composta da Aglianico e Piedirosso, con la sua giovane azienda aperta da pochi anni.

Vale la pena assaggiarli entrambi, se si preferisce un vino più morbido e caldo, maggiormente strutturato sicuramente la versione di Papa è da preferire, se al contrario si vuole un vino più fresco con tannini più spigolosi la scelta è da far ricadere su quello di Felace, il piatto che abbiamo di fronte detta quale preferire.

La versione bianca, proposta come Doc Falerno solo da Felace, è dotata di una bellissima spinta acida tipica della Falanghina con note minerali e sapide.

In questo caso si può dire che il tappo di sughero non contiene solo vino ma storia liquida.
Bere Falerno significa fare un viaggio a ritroso nel tempo e respirare l’atmosfera di 2000 anni fa tipica delle case dei ricchi romani, non ci resta che stappare e degustare con un bel Prosit.

https://www.gennaropapa.it
https://www.aziendaagricolafelace.com

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Matteo Gerardi

Matteo Gerardi

Archeologo e sommelier, appassionato del mondo del buon bere e della buona cucina, intesi come forma di piacere. Blogger Instagram con il nome di @piaceridivini. Il vino, per Matteo, è sintesi ed espressione delle tradizioni secolari della società che lo ha prodotto e del contesto in cui nasce.

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