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Vino

Rosato mon amour: testimone di una tradizione, scommessa del futuro

Valentina Ciccimarra
20 giugno 2016
Vino
1477

di Valentina Ciccimarra
Amo i vini rosati e amo fare vini rosati, per cui non perdo occasione per approfondire la mia esperienza. Perciò ho partecipato a un convegno dedicato totalmente ai vini rosati, organizzato da Assoenologi Sezione Puglia e Basilicata e da Unione Italiana Vini, nell’ambito della manifestazione Enovitis in campo ospitata nell’azienda vitivinicola Torrevento.

Perché tutto questo interesse per i rosati? Perché il vino rosato è versatile, facile e libero, poco impegnativo, informale e non reverenziale (come lo sono i nostri bianchi e ancor meno i rossi). Nel corso degli ultimi dieci anni, grazie a una lenta introduzione al consumo quotidiano, si è largamente diffuso andando a sdoganare alcuni preconcetti che lo ghettizzavano a vino esclusivamente delle donne, a vino dell’estate o a vino da aperitivo. Questo non deve indurre a pensare che siano “vinellini” facili da produrre: a loro sono destinate cure e attenzioni di altissimo livello tecnologico.

Oggi il vino rosato non è più un sottoprodotto della produzione dei rossi, non si produce più da quelle uve qualitativamente inferiori che non possono essere destinate alla produzione di rossi, ma nasce da una progettazione in vigna, da una viticoltura dedicata e specializzata che vuole esaltare le caratteristiche organolettiche guardando con occhio attento al binomio territorio/vino.

E poi, la ragione vera e nuova dell’attuale successo dei rosati è che la loro qualità è migliorata notevolmente. Insomma, sono davvero più buoni! E’ stato questo il tema dell’intervento di Gilles Masson, direttore del Centro di Ricerca e Sperimentazione sui vini Rosé – Istituto francese della vigna e del vino (Centre de Recherche et d’Experimentation sur le Vin Rosè di Vidauban Provenza).

Gilles Masson è tra le massime autorità mondiali in materia di vini rosati e nella sua relazione intitolata “I rosati nel mondo: ultime ricerche scientifiche e tecniche” ha evidenziato come conoscenze e tecnologie applicate in vigna e in cantina ci aiutino a produrre vini qualitativamente impeccabili e stabili in grado di affrontare il mercato internazionale. Personalmente io preferisco lavorare nel rispetto del vitigno e delle annate, ma non possiamo ignorare che esista una tendenza globale ad avvicinarsi al modello provenzale perché i francesi sono stati i primi ad affacciarsi a ogni mercato internazionale investendo tempo e risorse per promuovere i vini e i territori, ma anche perché i francesi sono anche i primi consumatori di vino rosato al mondo: dettaglio non trascurabile dal momento che l’Italia vende tanto vino alla Francia. Le gradazioni alcooliche si sono leggermente abbassate (esattamente come é accaduto per bianchi e rossi) e le acidità si sono alzate rendendo il prodotto più fresco, leggero, versatile negli abbinamenti enogastronomici e non più relegato a solo aperitivo. E i colori dei rosati? Uno spettacolo. Negli ultimi anni hanno dimezzato la loro intensità virando spesso dai toni ciliegia/fragola verso sfumature più tenui di corallo, albicocca, salmone, pesca.

Dopo questo breve accenno alle tendenze mondiali siamo entrati nel cuore dell’argomento: ovvero come la ricerca scientifica e il progresso tecnologico abbiano innalzato la qualità e le performance. Fondamentale è l’uso di tecnologie, biotecnologie e attrezzature che preservano la qualità delle uve dal vigneto alla cantina e che riescono a proteggere poi il mosto in fermentazione e la sua trasformazione in vino.

Il controllo delle temperature gioca un ruolo molto importante durante ogni passaggio il suo utilizzo attento può preservare e conservare la qualità. Banalmente basta vendemmiare l’uva nelle ore più fresche della giornata perché il bagaglio di precursori aromatici tipici del vitigno, si conservi inalterato e sia totalmente disponibile durante la fermentazione. Possiamo ancora sfruttare l’ausilio del freddo per condurre macerazioni e fermentazioni che aiutano ad esprimere al massimo le caratteristiche organolettiche e riuscire a conservarle durante l’affinamento, il successivo confezionamento in bottiglia e il trasporto.

Se la temperatura è un’amica del vino, di contro esiste un nemico sempre in agguato: l’ossigeno. La gestione dell’ossigeno su uve, mosto e vino è fondamentale in ogni fase perché responsabile di ossidazioni che provocano evoluzioni precoci sul colore e sugli aromi e a nessuno piacciono vini rosati mattonati e maderizzati. L’uso di gas nobili come azoto e argon nelle fasi di pressatura, travasi, imbottigliamento ci aiuta a preservare e prolungare la conservabilità dei rosati.

Masson ha sottolineato che bisogna produrre vini tipici delle singole zone, salvaguardare i caratteri della tipicità, valorizzare i nostri autoctoni, conservare le nostre identità: questo sarà il nostro futuro.

E per concludere questa splendida giornata abbiamo degustato insieme alcune eccellenze pugliesi tra cui le icone Five Roses 72º Anniversario di Leone de Castris (80 % Negroamaro e 20% Malvasia Nera di Lecce) e Pungirosa Bombino Nero D.O.C.G. di Rivera.

Marco Mascellani, enologo

Five Roses fa parte della storia dell’enologia italiana, è stato il primo vino rosato ad essere imbottigliato e commercializzato in Italia nel 1943, il suo nome deriva dalla contrada di Salice Salentino “Cinque Rose” e questo era il suo nome. Durante la seconda guerra mondiale il generale Charles Poletti, commissario per gli approvvigionamenti delle Forze Alleate in Italia, chiese una grossa fornitura di vino rosato imponendo però un nome anglofono e il “Cinque Rose” diventò “Five Roses” per il nuovo mercato americano. A causa della guerra le vetrerie presenti in Sud Italia non erano produttive e così Don Piero Leone De Castris pensò di riciclare le bottiglie di birra dei soldati americani e tapparle con tappo di sughero. All’interno del Museo del vino della cantina sono custoditi gli ultimi esemplari di questo imbottigliamento unico al mondo. Marco Mascellani, enologo della cantina, ha descritto le tecniche di produzione del suo blasonato vino. Le uve provengono da vigneti allevati ad alberello pugliese di età compresa fra i 35 e i 50 anni, con una resa di 65 quintali per ettaro. La vendemmia avviene nella prima decade di settembre durante le ore più fresche della giornata. Le uve, dopo una  pigia-diraspatura soffice, una macerazione pellicolare di qualche ora, una leggera pressatura da cui si estrae il mosto fiore, incominciano la fermentazione a temperatura controllata mai superiore ai 18º C. Terminata la fermentazione il vino affina minimo un mese in serbatoi d’acciaio e dopo l’imbottigliamento affina almeno un altro mese in bottiglia prima di essere messo in commercio. Accattivante il colore (rosa cerasuolo), naso fruttato con note di mirtillo e ribes rosso accompagnate da un piacevole sentore floreale di rosa selvatica. Equilibrato in bocca, persistente il gusto e l’acidità. Splendido esemplare di Negroamaro arricchito da quel tocco di Malvasia Nera di Lecce che conferisce una pregevole complessità. Nessuno meglio di Five Roses può essere definito un evergreen.

Angelo Mauriello, enologo

Pungirosa nasce da uve Bombino Nero provenienti da un areale, Castel del Monte, da sempre particolarmente vocato alla produzione di vini rosati a cui nel 2011 fu attribuita la Denominazione di Origine Controllata e Garantita Castel del Monte. Questa è l’unica D.O.C.G. in Italia dedicata ai vini rosati. Il Bombino Nero è un vitigno a bacca nera dalla buccia molto sottile e povera di sostanze coloranti, con la polpa succosa. La zona di produzione, le condizioni pedoclimatiche, il microclima conferiscono a queste uve moderato contenuto alcoolico, spiccata acidità e trasferiscono ai vini eleganza e freschezza. Anche per questo vino, l’amico e collega Angelo Mauriello ha descritto le tecniche di produzione. Pungirosa nasce da uve allevate ad alberello pugliese di circa 30 anni, a 320 metri sul livello del mare, con rese di 100 quintali per ettaro, vendemmiate nella prima settimana di ottobre. Il pigiadiraspato subisce una macerazione prefermentativa di 22-24 ore a temperature molto basse comprese fra i 5º-6º C. Questa operazione, consigliata anche la Masson, consente di estrarre solo le sostanze più delicate. Terminata la macerazione prefermentativa il mosto viene separato dalle bucce, senza pressatura e incomincia una fermentazione a temperatura controllata di circa 12-14 giorni in vasche d’acciaio. Terminata la fermentazione, il vino affina prima per qualche mese in vasche di cemento e dopo in bottiglia. Vino fresco, gustoso ed equilibrato. Colore rosa tenue dai riflessi violacei, elegantemente fruttato con note di melagrana, ciliegia e salvia, spiccato il sentore di fiori bianchi, pregevole la sapidità ereditata dallo strato roccioso calcareo dei terreni. Ottima persistenza con gradevole corrispondenza gusto-olfattiva.

Entrambi i vini sono il perfetto connubio fra antico e moderno, tradizione e innovazione in rappresentanza di quel complesso e affascinante universo dei vini rosati, facili da bere, meno facili da fare.

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Valentina Ciccimarra
Barbara Nocco

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